Recensioni

Francesco Correggia
Le diarchie dell’arte
Mimesis, 2015 - ISBN 9788857529059

[Exibart 20 aprile 2015]

C'è chi sostiene che, per ritenersi tale, l'artista di oggi dovrebbe andare ben al di là della capacità manageriale di vendere la propria immagine. Ciò non sarebbe sufficiente a soddisfare la dea dell'arte, la quale esige molto di più. Inoltre, il denaro, che è croce e delizia della nostra epoca, è penetrato nel corpo dell'arte come un potente narcotico. Lo “sterco del diavolo”- come lo chiama Papa Francesco- miete già le sue vittime e riempie ogni spazio della nostra esistenza.
Al di là di ogni facile o tendenzioso moralismo c'è chi pensa che anche nel mondo dell'arte sia necessario non perdere tempo: che conviene fare un passo indietro, per vedere meglio, come affermava James Hillman; oppure far propria la saggezza degli antichi e perseguire il “festina lente”, disponendosi in vigile attesa, per ascoltare il suono della autentica necessità spirituale.
Per l'artista, non distratto dalle sirene del mercato, si tratta di sviluppare una visione del mondo profonda. Insomma, bisogna ritornare a rimboccarsi le maniche e immaginare un modo di fare e pensare del tutto differente dai canoni imposti dal trend imperante. Pena il rischio che si chiama illusione: si pensa di essere “dentro”, illusi da un certo vitalismo del “sistema” e invece si è esclusi dal cerchio magico della dea, la quale chiede ai suoi adepti un differente viatico. Si tratta di ricominciare, con occhio sgombro e cuore puro, a percorre i sentieri dell'estetica, della filosofia, dell'etica, della scienza; non per darsi un tono: piuttosto per ferrarsi, sviluppare una nuova consapevolezza o, forse, sapienza, in modo da sfondare le vecchie consuetudini e separazioni nell'affrontare i problemi dell'arte. E quindi si navigherà tra discipline differenti, lontane dall'arte e dalla sua sfera d'influenza. Questo, e tanto altro, è ciò che ci suggerisce Francesco Correggia  con le “Le diarchie dell'arte” (Mimesis Edizioni), un saggio che si pone nella prospettiva di una scrittura etica, assonante con i temi che affronta, spronando altresì il lettore ad aprire le valvole della coscienza su molteplici riflessioni che spaziano dall'etica del pianeta - il bene comune di tutti i viventi - al rapporto tra tecnologia e natura e, non ultimo, all'entità della deriva nella quale l'uomo contemporaneo è proiettato; e, per ritornare in campo, a ricercare, oggi, il senso profondo del fare arte.
Il saggio di Correggia, diviso in sei sezioni ben articolate, percorre in lungo e in largo i concetti essenziali che hanno sempre sollecitato e nutrito le domande fondamentali, le questioni metafisiche affrontate da tutti i grandi ricercatori dello spirito. “L'artista - sostiene Correggia, aderendo pienamente alla visione filosofica di Hans Jonas - non può ignorare questo farsi avanti di un inderogabile urgenza di un nuovo pensiero etico rispetto alla vita dell'intero globo terrestre.” L'artista, che è uomo tra gli uomini - suggerisce Correggia, che è pittore lui stesso - appare come Dante nel noto dipinto di Eugène Delacroix (citato nel libro), in cui il Sommo Poeta insieme a Virgilio viene traghettato oltre il lago dell'inferno allontanandosi da una città in fiamme, dalla quale il poeta sembra “volersi allontanare con un gesto della mano che indica da una parte orrore e disgusto e dall'altra chiede protezione e conforto.” E qui lucidamente Correggia si chiede: “A chi se non alla Poesia, a Virgilio, all'arte stessa? È a queste forze che chiediamo aiuto e dalle quali vorremmo essere tratti in salvo.”
A questo punto, l'opera - precisa Correggia - viene a trovarsi in una terra di mezzo, sospesa tra le mani dell'autore e le possibilità interpretative ed economiche che la diffusione mediale offre. Come dire che l'arte è sì sospesa nel suo spazio metafisico, ma affidata pure alle mani talvolta incaute dell'uomo, ai suoi umori ed interessi, spesso alla sua indifferenza. Dunque un destino, quello dell'opera, che resta necessariamente incorniciata in un contesto: lo stesso - puntualizza Correggia - che è motivo di estrema attenzione dei ricercatori dei Visual Culture Studies, i quali indagano gli intrecci talvolta inestricabili tra l'opera - e le immagini in generale - con le altre dimensioni della vita che apparentemente dall'opera stessa sono distanti. E con questo, come si diceva all'inizio rientrano a pieno titolo tutti gli apporti delle altre discipline che s'incrociano con l'arte, come l'estetica, la filosofia della mente, le scienze cognitive, la storia dell'arte, la semiotica; anche quella delle “passioni” sottolinea Correggia, citando Algirdas Julien Greimas, il celebre semiologo lituano, in funzione di una comprensione più profonda dei processi stessi che sono alla base della creazione della produzione dell'immagine. In tal senso è obbligatorio il riferimento a Kendall Walton, alla sua idea di considerare un quadro niente altro che un gioco immaginativo, un puro immaginare, senza prescindere dalla cultura materiale nella quale l'artista è immerso, come sosteneva Svetlana Alpers già nel 1972, impegnato nella ricerca dei nessi significativi e meta testuali che avvolgono l'immagine.
Il saggio di Correggia insiste sull'importanza della pittura che “rigenera lo stesso corpo dell'arte” e quindi felice punto di svolta; e al concetto di sublime (sub=sotto limen=soglia), accesso ad una soglia disvelante: e qui il participio presente indica quell'opera che si tramuta in apertura di senso. Un invito, dunque, a tutti gli artefici che - indipendentemente dai mezzi espressivi adottati - si pongono al di la dei sistemi gerarchici e diarchie condizionanti per cercare ancora il profumo dell'ambra, quella essenza rara - per restare in metafora - che in buona parte del secolo scorso portava il nome di “verità”, - almeno quella che ci è dato capire - come sosteneva Picasso, o quella che con più determinazione Cèzanne prometteva di dare al suo amico pittore Emile Bernard (Vi devo la verità in pittura, e Ve la darò).


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