Testi critici

Quell'ambiguo territorio di confine

di Maurizio Sciaccaluga

Testo in catalogo Antologica al Gam di Gallarate [13 febbraio – 21 marzo 2004]

Mentre il giovane concettualismo italiano foraggiato a partire dagli anni '90 da una parte della critica e dell'editoria specializzata sta finalmente mostrando il suo scheletro di cartone e vuota retorica, mentre gli adepti dei nuovi media (fotografia e video in primis) non riescono che a produrre esercitazioni di spettrale e arido tecnicismo, mai capace di rinnovare il linguaggio dei maestri, alcuni artisti sembrano, più di altri, in grado di testimoniare la temperie culturale e teorica che ha contraddistinto i decenni recenti. Sono quelli che hanno saputo cogliere la concreta interdisciplinarità dei tempi odierni (che non si trova sul terreno della multimedialità ma nella ridiscussione dei generi classici); sono gli autori che hanno intuito la rilevanza sociale e l' attualità delle espressioni popolari (fumetto, cinematografia di largo consumo, letteratura alla moda, passione sportiva, pseudo-informazione televisiva); sono coloro i quali sanno parlare un idioma poetico adoperando i caratteri tipici del momento presente. Artisti che possiedono la rara qualità di saper cooptare in una riflessione filosofica ed estetica le sollecitazioni vissute quotidianamente. Nella loro ricerca alberga quell'unica matrice concettuale coniugata alle icone dei nostri tempi, liberata dalle elucubrazioni onanistiche di chi riflette sempre e solo astrattamente, degna d' esser ascritta tra le proposte artistiche. Ernesto Jannini è uno di questi autori. Osserva affascinato i piccoli miracoli della tecnologia d'uso comune (Nidi di rondine, 1993), apprende le informazioni di presunti programmi scientifici trasmessi via etere (V Vulture, 1999), guarda con attenzione le nuove tendenze del gusto letterario e cinematografico (I'am an alien, 1999) per poi rielaborare ogni sollecitazione ricevuta in un universo referenziale che, al contempo, può apparire sia avulso che coordinato al contesto reale.
Tratta i LED e i microcircuiti tecnologici, le figure e i simboli della mitologia narrativa, gli oggetti del costume e della storia della civiltà attuale (come la panchina del gioco del calcio e il cappello dell'esercito piemontese di Panchina Cavour, 1995) alla stregua di reperti archeologici, vestigia di una cultura di cui ancora non siano stati completamente svelati i comportamenti civili e religiosi. Procede per supposizioni, separa e relaziona, arricchisce di nuovi significati e priva delle motivazioni da tempo accreditate. Ogni sua opera si presenta come un archivio d'informazioni, apparentemente riportate secondo ferree regole scientifiche, che può però favorire sia la concreta ricerca della verità che il fiorire di fantasiose supposizioni. Senza che sia mai consentito discernere con sicurezza tra le due alternative possibilità. Nei lavori di Ernesto Jannini connotati da affettuosa ironia e da concreto stupore nei riguardi delle forme e delle logiche che muovono il mondo trovano eco, e soprattutto una collocazione fianco a fianco, le abitudini e i costumi della società contemporanea, i prodotti della natura e della scienza, le icone dell'immaginario collettivo e i risultati della tecnologia più utilitaristica. L'opera si sistema in quell'ambiguo territorio di confine che è il tempo presente. Ambiguo perché oltre ad essere un limite esiguo e inconsistente tra passato e futuro, ha perso la memoria storica circa la differenzazione tra finzione e realtà, necessità e virtualità, illusione e pragmatismo. Nei quadri e nelle sculture di Jannini la logica segue le strade illogiche dell'immaginazione, la fantasia sembra imprigionata nelle gabbie della verifica e della controprova. L'artista tra le dovute conclusioni da un innegabile dato di fatto: il tramonto definitivo, dalla scena odierna, dell'ansia di verità. Se le vicissitudini di Lara Croft/Tomb Raider coinvolgono oramai più di quelle di una qualunque eroina in carne ed ossa, se il sangue sugli schermi e nei videogiochi è più rosso e reale di quello versato nelle guerre civili, se la comunicazione virtuale sembra soppiantare quella fisica e quotidiana, allora il mondo ha intrapreso strade diverse da quelle che la riflessione ha sempre considerato. L'artista adopera, senza alcuna volontà di drammatizzazione, gli scarti e i ricambi inutilizzati che la civiltà si lascia alle spalle per edificare, in anticipo sui tempi, un sito archeologico dove sia possibile leggere proprio questa incertezza e contraddizione in termini del tempo presente. Un tempo che vede il confronto descritto mirabilmente da Edoardo Sanguineti “tra un corpo non preparato per una società altamente industrializzata ed una società che esige dalla nostra condizione corporea una serie di adattamenti estremamente violenti”.

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